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Fuser: "La cosa bella del calcio è la gioia della gente. Senza, è tutto diverso"
30 giu 2020 18:55Calcio
© foto di Daniele Buffa/Image Sport

L'ex centrocampista Diego Fuser è stato intervistato da TMW Radio, nel corso della trasmissione Stadio Aperto, condotta da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini: "Giocare senza pubblico è un po' triste, logico che sia difficile trovare gli stimoli giusti: i tifosi ti danno adrenalina e la carica in più. Le condizioni sono difficili, è un altro calcio".

Il caldo è davvero un problema? "Vero che giocando a 20 gradi invece che a 30 hai altre prestazioni, senti meno la fatica. Giocare ogni tre giorni in queste condizioni genera un dispendio enorme di energie fisiche e mentali, una fatica ulteriore".

Cosa sta succedendo al Torino? "Penso sempre che serva un bravo allenatore, e Mazzarri lo è, ma Longo è un giovane che ha voglia di emergere: è molto professionale. Dipende tanto dai calciatori, se non fanno quello che gli dici diventa tutto più difficile. La differenza la fanno sempre loro".

Che difetti ha? "Ne vedo ovunque, vedo i gol che ha preso il Torino, o il Parma... Giocatori che si dimenticano uomo o palla, cose da Eccellenza. Che in Serie A non si dovrebbero vedere".

Il livello è calato dai suoi tempi? "Non posso dirlo ma vedi errori che non dovresti fare. La prima cosa che ti insegnano è di non guardare il pallone ma l'uomo. I difetti li hanno in tanti, il Toro non è certamente l'ultima tra le squadre, e credo sia più un problema mentale".

Cosa ricorda del debutto contro la Juventus? "Sicuramente ricordo la palla soffiata a Platini (ride, ndr). Si fece un'azione con gol finale di Cravero io e Lentini, entrai al posto di Leo Junior e ho davvero tanti ricordi di quella partita, una bella emozione e andò pure bene. Un esordio positivo".

Qual è il trofeo cui è più legato? "Sono sempre state emozioni speciali perché fanno parte di un percorso. Arrivare ad una finale e vincerla genera sensazioni fortissime, che sia il Torneo di Viareggio o la Coppa dei Campioni, la Coppa UEFA, la Coppa Italia ma anche il campionato di Eccellenza. La cosa più bella è vedere la gente felice, la loro gioia per aver raggiunto un obiettivo ti rimane dentro".

Anche gli anni tra i dilettanti hanno lo stesso peso nei ricordi? "La mia esperienza conclusiva è stata bella, anche se si andava a giocare in campi di patate. Penso che nella vita serva tutto, anche vedere ragazzi che ti ascoltano perché vogliono imparare determinate cose, un'esperienza unica ed è la passione che ti porta a fare questa scelta. La cosa principale è avere sempre il rispetto di chi fa sempre quelle categorie, normale che tu pensi in un modo e loro in un altro ma se riesci ad essere sempre te stesso, non pensando che hai vinto tutto, diventa un buon metodo anche per insegnare agli altri come si sta al mondo".

Qual è l'allenatore che le ha insegnato di più in carriera? "Sacchi tatticamente mi ha insegnato. Passando dal Torino, dove la tattica non esisteva neanche, al Milan, è stato un impatto tale che ripartivo da zero. Mi ha insegnato tante cose, ma anche Lazaroni che mi ha insegnato a calciare le punizioni...". Fu lui? "Sì, in quell'anno a Firenze. Per me è stato un anno bellissimo, la ricordo sempre con grande passione. Andai anche in nazionale, quindi fu importantissimo. Io non tiravo le punizioni, lui mi vide e tutti i sabati mi metteva lì per imparare a calciarle bene. Fondamentale".

Ieri Buffon ha rinnovato per un altro anno. Lei ci ha giocato, c'è un aneddoto che rimane impresso? "Di Gigi posso dire che era un po' matto, per lui ogni giorno fare l'allenamento era una festa, con grandi sorrisi. Un giorno con Malesani ci fu una strigliata che me la ricordo bene (ride, ndr). Gigi aveva acceso la radio a tutto volume, e Malesani che gli strillò: "Ma dove credi di essere?". Lui l'hanno fatto fuori, è stato un grande allenatore perché non aveva nessuno che lo sponsorizzasse nella giusta maniera. Senza un procuratore non ha trovato il giusto spazio".

Si dice spesso che i risultati non bastano... "Ci ho parlato due anni fa a Parma, e mi ha spiegato questa cosa. Però è stato un grandissimo allenatore, anche da lui ho imparato tanto".

Difficile giocare a Roma? "I laziali ancora non mi hanno perdonato di aver vestito entrambe le maglie (ride, ndr). Giocare a Roma è difficile, sì, e non saprei neanche perché. Roma è traditrice, essere sempre al 100% della condizione mentale non è facile, altrimenti non si spiega perché abbiano vinto poco. Perché per una piazza del genere, con due grandi squadre, sono poche le vittorie".

Com'è stato vivere, da imprenditore, il lockdown e ora la ripartenza? "La ripartenza è lenta, non si capisce niente nel modo giusto, non c'è niente di chiaro e ogni Regione fa a sé. Un grande casino, come sempre in Italia. Fortunatamente vivo in un posto in mezzo alle colline dove ho una casa che mi ha permesso di stare bene, mentre per quanto riguarda la pista (di motocross, ndr) quando abbiamo potuto ci siamo messi a ripulire tutto, dandoci da fare. Piano piano stiamo ripartendo".

Come le è nata questa passione? "Ho sempre avuto la passione per il modellismo, e se non erano macchine costruivo aerei e navi. Poi le radiocomandate, si andava a girare con mio fratello e da questo è nato tutto".

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Diego Fuser intervistato da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini © registrazione di TMW Radio