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Abbruscato: "Juventus avanti anni luce: le seconde squadre saranno necessarie"
29 giu 2020 19:34Calcio
© foto di Federico De Luca

L'ex attaccante Elvis Abbruscato, oggi vice-allenatore dell'Italia U20, ha così parlato ai microfoni di TMW Radio, nel corso della trasmissione Stadio Aperto, condotta da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini: "Mi sento sempre in cambiamento, sempre con dei dubbi: uno sport così complesso come il calcio non può dare certezze, e la necessità è affrontare e rendere semplici e sintetiche le complessità. Allenare non è come fare il giocatore: chi gioca pensa molto meno, il tecnico invece deve guardare a molti più aspetti. Io sono partito dalla Beretti dell'Arezzo, poi ho fatto da collaboratore a Bellucci e Pavan prima di approdare nell'Italia: U18 e U20, un percorso molto formativo".

Si è mai spiegato perché la sua presenza in Serie A non è stata così continua? "Mi sono dato delle risposte, e sono legate al percorso che faccio ora. Il rapporto con la Serie A è stato difficile, altamente competitivo e dal mio punto di vista anche fallimentare. Non sono riuscito a fare quanto credevo, anche se dietro a tutto questo sono nate tante disamine che oggi mi porto come bagaglio da trasferire a quei giocatori che magari hanno qualche mancanza di performance mentale, magari una crescita un po' tardiva con cui devono confrontarsi per capire che non possiamo essere sempre al top. Quei fallimenti sono cose necessarie oggi per far crescere l'altra parte di me, su cui sto molto lavorando".

Quale, se c'è, il suo più grande rimpianto? "Aver mollato certe situazioni, cambiando troppe squadre e non mantenendo un tempo maggiore dedicato a determinate realtà. Poca pazienza. Ero altamente competitivo, e forse quando lo sei troppo non lavori sulle priorità, cosa di cui ha invece bisogno quotidianamente il calciatore. La domenica sennò è un casino, perché la costruisci quando riesci a darti un programma quotidiano e settimanale, lavorando sulle mancanze. Oggi chi allena lavora molto sulla parte psicologica: abbiamo giocatori sempre più social, martellati dalle informazioni, e non è facile".

Ci racconta della sua nuova app? "In questi anni, grazie alle relazioni e al mondo in cui mi sono interfacciato, allenatori, psicologi dello sport, nutrizionisti, giocatori e persone incontrate nei miei viaggi-studio, sono arrivato a creare BeCoach. Parto dicendo che chi dice di voler fare l'allenatore per vent'anni è un pazzo, ormai è il manager di un'azienda e lavorano tantissimo su gestire il gruppo fino ad arrivare all'idea. Noi in Italia facciamo il contrario, partendo dall'idea e rendendo stressati i giocatori. L'applicazione BeCoach nasce per questo, e io la chiamo la app del popolo. Ufficialmente esce il 27 luglio, ora siamo in fase di pre-lancio, di condivisione della cultura e del metodo. L'applicazione sarà gratis, e mi piace molto pensare che la conoscenza debba essere condivisa, che le idee siano interscambiabili. Dobbiamo essere una comunità aperta, in grado di relazionarsi l'un l'altro. Come fanno negli altri paesi: fuori dall'Italia gli allenatori non hanno paura di far vedere le loro metodologie. Ognuno ha filosofia e stile declinati sulle culture del luogo, e ci credo molto in questo progetto".

La parola "progetto" per un allenatore ha senso nel calcio moderno? "Fondamentale. In Italia non se ne parla molto, perché ci sono molti contratti annuali: tre partite, e li cacciano. Invece ci deve essere una missione ed una visione, ogni giocatore deve poter vivere la sua missione all'interno della visione. Un allenatore deve allenare la complessità, e c'è bisogno di relazioni che si possono stabilire solo con empatia e conoscenza della comunicazione. Oggi decliniamo troppe idee, ma c'è bisogno di perimetrare tutto".

Secondo lei il Torino rischia grosso? "Quando fai grandi annate, a Torino devi rispettare le aspettative di un pubblico, una città ed un presidente che le meritano importanti. Quando parti male e certe situazioni non si incastrano, non è facile reggere la pressione. Torino è un Atletico Madrid: una "seconda squadra" della città ma che ha forte appeal e fede, c'è un coinvolgimento tale che se l'ambiente non riesce a gestire le pressioni ne viene condizionato. Quell'aspetto non aiuta la squadra: dalle stelle ti porta alle stalle. Sicuramente un inizio difficile, con obiettivi non raggiunti, hanno inficiato. L'aspetto motivazionale non è al massimo, per non parlare ora del post-Covid. Rischia? Temo di sì ma spero di no, il calendario però è difficile".

La questione delle squadre U23 come la valuta? "La Juventus a livello di branding è sempre avanti anni luce rispetto alle altre. Fare le seconde squadre è un valore assoluto e diventerà una necessità: la C è una cantera di giovani, se guardiamo la nostra Nazionale ci sono tantissimi giocatori che arrivano da quella categoria. L'indicatore è importante. Chiaro che le seconde squadre hanno un costo, ma è un costo aziendale. Con le squadre B tanti giocatori potrebbero giocare e sviluppare le loro qualità".

Riducendo le squadre professionistiche si riducono anche le possibiltà? "La riforma ci ha portato a mancati fallimenti quest'anno, con gli enti intorno alla Lega Pro che hanno lavorato benissimo evitando penalizzazioni. Spero che nessuno colga la palla al balzo per iscriversi così, tanto per provarci. Se si passa a sessanta squadre va bene, ma deve esserci un valore dietro. Anche perché non parliamo di giocatori milionari, ma ragazzi che devono poter fare la spesa. Stipendi bassi, casse integrazione... Ci sono stati esempi tremendi".

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Elvis Abbruscato intervistato da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini © registrazione di TMW Radio